PROLOGO: Arcipelago di Kamera, Oceano Pacifico Meridionale.
Come tanti luoghi di questo
piccolo mondo azzurro, Kamera appariva sulle mappe
geografiche. Si sapeva che si trattava dei resti fertili di un grande vulcano,
la cima di una montagna che aveva smesso di tuonare da migliaia di anni. Si sapeva
che, occasionalmente, era stato un importante ‘punto di rifornimento’
per le popolazioni umane migratorie, prima dell’avvento delle navi, e che a
tuttora lo era per gli uccelli nelle loro rotte da e verso casa.
Con le sue isole minuscole, Kamera non aveva alcuna importanza tattica. Si trovava in
acque internazionali, e un’eventuale violazione sarebbe stata rapidamente
notata dai satelliti artificiali.
Oltre a questo, si trattava
di uno di quei rari luoghi dove l’Uomo non aveva messo piede per decenni.
Fino ad oggi.
MARVELIT presenta
Episodio 1 - I Prigionieri!
La torretta aveva una forma
idrodinamica, a goccia. Il ponte si estendeva come una corona intorno alla
torretta. E una figura solitaria stava appoggiata al parapetto, in direzione
della prua del vascello.
“Voglio solo sperare che
tutto questo non sia solo una perdita di tempo.” Così borbottando, l’uomo si
tolse il cappello ed iniziò ad usarlo per farsi vento. Era una figura
leggermente sovrappeso, con i capelli corti ingrigiti
e occhiali con montatura quadrata di tartaruga. “Dio, sono troppo vecchio per
queste sciocchezze. Ma chi me l’ha fatto fare?”
“Il senso del dovere, la
curiosità scientifica, il premio Nobel…” disse una voce alle sue spalle. “Io lo
faccio per ricavarci un bel mucchio di quattrini. E perché ormai è una
questione di principio: non la si può fare a Hugh Howards e uscirne bene.”
L’uomo con gli occhiali si
voltò ad incontrare lo sguardo gioviale di un individuo che avrebbe potuto
benissimo essere un parente più giovane, abbronzato e palestrato,
di Anthony Stark. Howards era il tipo che non avrebbe sudato neppure sotto
tortura, ed aveva delle maniere informali che lo accostavano più ad un Indiana Jones che al jet-set. Indossava una camicia bianca, con le
maniche arrotolate, un paio di pantaloni kaki, bretelle, e un cappello identico
a quello del suo interlocutore. In mano, reggeva un bicchiere pieno a metà di
qualche bevanda di frutta tropicale…opportunamente corretto, ovviamente. “Oh, a
proposito, Professor Lawson,
lei è dei nostri anche perché il suo predecessore non può fare di meglio che
augurarci buona fortuna. Senza offesa, s’intende.”
Jerome Lawson annuì gravemente.
Purtroppo, la testa pensante del vecchio team, il Professor Takiguchi,
era troppo anziano per riprendere la caccia. Anziano…e demotivato. Alla fine,
aveva deciso che la loro preda non rappresentava una minaccia, fin quando fosse
stata lasciata in pace.
Il figlio del professore, Robert, era occupato a darsi da fare con i Campioni dello Zilnawa
in qualità di pilota del super-robot Mazinkaiser. E sicuramente lui non avrebbe mai accettato di
fare parte del nuovo team; il ragazzo era sinceramente convinto che il mostro
fosse dei buoni, punto e basta.
Lawson, discepolo americano di Takiguchi,
non nutriva un simile ottimismo -il suo non era un pregiudizio, ma una constatazione
di fatto. Hulk,
il gigante nato dai raggi gamma, era costantemente monitorato quanto più
efficacemente possibile. Quando un super-uomo della sua potenza perdeva la
bussola, una città poteva venire gravemente danneggiata.
Quando il loro mostro si
arrabbiava, una città poteva scomparire in pochi minuti. Il mostro era una
creatura con troppe incognite per poterlo trattare alla stregua di un animale
selvaggio bisognoso di restare isolato. Il solo fatto che un criminale ambizioso
potesse catturarlo per farne uno schiavo era motivo sufficiente a rimettere
insieme il team -nuovi mezzi, un mix dei veterani e di nuovi elementi, e tutto quant’altro servisse ad assicurarsi di mettere sotto
controllo il mostro nel modo più ‘umano’ possibile.
Howards si appoggiò al parapetto, accanto a Lawson e fissò la placida superficie marina appena
increspata. “Allora, doc: è la volta buona?”
Lawson si morse la punta della lingua, com’era sua abitudine
fare in fase di riflessione. “Hugh, mi sto limitando
a seguire una serie di ipotesi formulate dal Prof. Takiguchi. Il nostro amico è furbo, intelligente, ma
ultimamente, almeno stando alle segnalazioni più recenti, è diventato anche un
abitudinario: ha bisogno di spaventose quantità di cibo, e il plancton non gli
basta di certo. Quest’arcipelago offre una bella
scelta per il suo menu, ora che non attacca più alcuna nave o insediamento
umano per sfamarsi; inoltre, qui siamo abbastanza lontani da tutto…”
“Ma potrebbe non essere qui.”
“Potrebbe non essere qui. La
sola area abbastanza isolata conosciuta è il mare Antartico…ma temo che
finirebbe con l’ibernarsi, laggiù: dovrebbe mangiare in continuazione solo per
mantenere un’adeguata temperatura corporea. I fondali oceanici possiamo
escluderli: è un anfibio, e non potrebbe nuotare così in basso per nutrirsi.
Certo, se fosse una balena e si nutrisse di plancton, sarebbe tutto un altro
discorso…”
Howards roteò gli occhi. “Credo di avere capito. E se si
nascondesse in un vulcano o roba del genere, invece?”
Lawson sembrò pensarci su. “Per nascondere le sue tracce?
Alla fine, dovrebbe pure uscire fuori, e lo sa.” Scosse la testa. “No, il
nostro amico predilige i mari, non c’è copertura migliore. Diamine, spendiamo
molto di più per esplorare lo spazio che non il nostro stesso pianeta.” Fece un
cenno ampio col braccio all’indirizzo della superficie. “Sotto di noi c’è un
intero mondo in cui nascondersi. Se siamo fortunati, magari ha trovato un
network sotterraneo di caverne in cui fare la tana e godersi la vita, mentre
noi siamo qui a giocare ai…”
“Professore!” la voce femminile li scosse come un’esplosione. Loro
si voltarono all’unisono verso la ragazza che stava venendo fuori dalla
torretta. T-shirt bianca, shorts color kaki, capelli
così corti da essere ridotti ad un velo di peluria castana. Aveva in mano un
foglietto, ed era rossa dall’eccitazione. “Contatto!” corse da Lawson e gli porse il foglietto. Lawson
osservò rapidamente i dati; le mani gli tremavano. “Sì, ci siamo per davvero!
Presto!” corse verso il portello. “Prima che si allontani troppo!”
La plancia era ampia,
circolare, coperta di strumentazione, con la sola poltrona del comandante al
centro.
Il Capitano del vascello era
un pezzo d’uomo, un Portoricano con sopracciglia accentuate e volto da buono,
ma che in un attimo avrebbe potuto trasformarsi in una maschera severa. La sua
stessa voce era impostata su un timbro accattivante, ma con una distinta vena
d’acciaio. “Lieto di vedervi a bordo, signori,” disse a Jerome
e Hugh. “Spero che ve la siate goduta, perché questo
inseguimento non sarà breve.”
Il plurimilionario cacciatore
di avventure si mise al suo posto alla barra del timone. “Questo stiamo per
vederlo, Capitano mio Capitano…Um, mi scusi,” aggiunse
in fretta all’occhiataccia che gli trapassò la schiena.
Rodrigo Nemo Ismaele Pollard, Capitano del NeoNautilus, iniziò a dettare ordini. Pochi minuti dopo, il
sottomarino si mosse.
“Professore,” disse Nemo
(nessuno riusciva ad usare un nome diverso!), appena furono in caccia, spinti
da una doppia coppia di turbine alimentate da un motore a fusione nucleare.
“Secondo le letture, il nostro pesce ha un sonar tutto suo. Appena ha percepito
i nostri sensori, ha ingranato la quinta. Non che faccia differenza: ormai non
ha scampo…ma non vorrei scoprire altre ‘doti’
insospettate all’ultimo momento.”
Lawson osservava rapito lo schermo che mostrava l’enorme
punto proprio davanti a loro -Dio, se era veloce.
E forse aveva fatto appena uno spuntino..!
“Professore?”
Senza voltare la testa, Lawson fece un cenno con la mano, come si fa quando si
vuole fare tacere un’interruzione fastidiosa. “Il sonar sorprende anche me,
Capitano. Non dimentichiamo però che il mostro è una creatura unica nel suo genere.
Il suo stesso aspetto è ingannevole: infatti, l’analisi dei campioni di DNA
suggerisce una complessità come la si può trovare solo in un essere umano, e…”
“Sarebbe un uomo?” chiese Howards, facendo una risatina. “Questa sì che è bella.”
Lawson scosse la testa. “No, no! Intendo dire che il suo DNA
non è quello che ci si aspetterebbe da un rettile. Anche se modificato dalle
radiazioni atomiche, come finora si è supposto, si dovrebbe riconoscere la
struttura di un iguanodonte. Invece…”
“Ce ne occuperemo dopo,” lo
interruppe Nemo. “E ora, signori, vediamo cosa può fare questa lattina. Signor
Mori?”
L’ufficiale agli armamenti,
un Giapponese, stava digitando dei comandi sulle sue consolle. “La rete è
pronta, Capitano.”
“Il mostro si trova a
distanza settecento…Seicento…” la voce della ragazza addetta ai sonar aveva
assunto un tono pacato, quasi ipnotico. “Cinquecento…”
Lawson non ci si raccapezzava: avevano a che fare con una
creatura combattiva, non con una abituata a fuggire. Inoltre, la rotta corrente
non li avrebbe certo portati in qualche trappola o roba del genere… No, il
mostro stava fuggendo e basta, nella speranza disperata di seminare il suo
avversario…
Nemo disse, “Rete fuori.”
“Rete fuori, aye aye!” disse Mori, premendo
l’ultimo pulsante.
Lo scafo del NeoNautilus ricordava
sicuramente quello di un mezzo adatto a solcare le correnti dello spazio oltre
che quelle oceaniche. La sua corazza nera era ricca di linee morbide,
stratificata, con il gruppo propulsore in basso, composto non da eliche ma da
quattro ugelli di razzi.
Due portelli si aprirono
nella prua. Un attimo dopo, le bocche lanciarono una coppia di siluri.
L’enorme figura davanti al Nautilus si
spingeva con potenti zampe artigliate palmate, agitando l’acqua in una nebbia
di bolle; solo la sua coda era nettamente visibile. Dato un sufficiente
vantaggio, la creatura avrebbe potuto sfuggire ad un sommergibile classe Typhoon o Los Angeles…ma ora era stanca, e comunque il vascello
degli uomini era troppo veloce anche per lei!
I siluri raggiunsero il
mostro, lo affiancarono, e dai lati liberarono entrambi una densa schiuma! La
preda ne fu avvolta, si dibatté, ma fu tutto inutile. La schiuma prese a
solidificarsi, lasciando intravedere le muscolose zampe anteriori…
“Diamine, non lo avrei mai
detto,” fece Howards, toccandosi la tesa del
cappello. “Ma sta funzionando.”
“La fortuna finisce per
tutti,” disse Nemo. “Signor Howards, emersione.”
“Pronto agli ordini!” fece il
timoniere, gioviale -fino a quel momento, il mostro era stato fortunato come il
demonio. Lo avevano tutti sottovalutato, e poi si erano messi di mezzo quei
pazzi come il Dottor Demonicus,
poi c’era stata la prima defezione, quella di Robert Takiguchi, che aveva usato il super-robot Red Ronin apposta
per salvare il lucertolone…
Per una volta tanto, la sicurezza
in sé del mostro gli era costata cara!
Lawson, per conto suo, cominciava ad avere un dubbio
tremendo…ma se lo sarebbe tenuto fino a quando non avesse potuto esaminare da
vicino l’esemplare…
Senza alcun dubbio,
l’emersione alla luce del mostro fu la più spettacolare! Le acque si gonfiarono
a bolla, e fecero un rumore come di cascata, quando una informe massa di
schiuma bianca, galleggiante come sughero ma dura come cemento, venne fuori,
portando con sé l’imponente Godzilla.
Il titano emise un ruggito frustrato
spaventoso, ma non poté fare di più, mentre la sagoma del Nautilus emerse a sua volta.
Poco dopo, il portello si
aprì. “Gesù che cristone,”
commentò Howards. “Fa sempre la sua impressione,
visto da vicino.”
“Preferirei che non
perdessimo tempo,” disse Lawson, trafelato.
“Portiamolo a terra e sediamolo. Dobbiamo liberarlo dalla schiuma ed
ingabbiarlo prima che…”
“Dico, doc,
che fretta c’è?” Hugh gli diede una pacca sulla
schiena. “Tutto ad un tratto sei diventato un attivista?”
L’uomo scosse la testa. “No,
credo di avere un’idea sul perché si sia comportato così. E se ho ragione,
senza volerlo, lo stiamo mettendo in serio pericolo…Uh?
Cos’è?” un’ombra era improvvisamente apparsa sulle loro teste. La sirena
dell’allarme si mise a suonare, ma i due uomini ebbero il triste privilegio di sapere il perché dell’allarme.
Sopra di loro era apparsa,
dal nulla, una gigantesca astronave.
Una sagoma elegante, una fortezza oblunga di tali dimensioni da fare apparire
il Nautilus
come una barchetta. Il Sole si stagliava lungo la sua forma come contro
un’eclisse artificiale, rendendo impossibile fissarla per oltre qualche
secondo.
“Dico che è meglio rimandare
ogni discussione a dopo,” disse Hugh. Non ebbe
neppure bisogno di aspettare l’assenso di Jerome, che
entrambi stavano già volando verso il portello.
Ebbero appena fatto in tempo
a chiuderselo dietro,
che la sagoma del Nautilus e la forma prigioniera di Godzilla
furono avvolti dalla luce…
…per
poi scomparire.
Su tutti gli schermi, da
tutte le angolazioni permesse dalle telecamere sparse lungo tutto lo scafo, le
immagini erano inequivocabili.
Non erano più immersi
nell’acqua, ma giacevano lungo un ponte di travi d’acciaio. Intorno a loro,
pareti artificiali, potenti riflettori, e soprattutto figure umanoidi vestite
di tute imbottite e caschi integrali con visori neri. Tutte armate e disposte a
cerchio intorno al Nautilus.
“Un hangar,” disse Nemo. “Ci
hanno portati in uno stramaledetto hangar.
Non ci posso credere.”
“La quantità di energia
necessaria…” mormorò un membro dell’equipaggio. Era questi una figura robusta,
il più anziano a bordo del ponte, con una barba nera venata di bianco ed un bel
paio di baffoni. Parlava con un leggero accento russo. “Siamo dei primitivi di
fronte a loro. Mi chiedo cosa vogliano da noi.”
“Cosa vogliono da Godzilla, piuttosto,” disse Lawson.
“Ho il sospetto che noi siamo il bonus aggiunto. Date un’occhiata lì.”
Un altro schermo mostrava una
gabbia in plexiglas di dimensioni incredibili: del resto, per contenere il
titanico rettiliano non occorreva di meno.
Nella vasca stava una
perfetta riproduzione di una spiaggia lagunare: acqua ricca di pesci da una
parte, e sabbia fine sopra uno strato di terra e roccia dall’altra.
Godzilla, ignorando completamente il proprio status di
prigioniero, stava scavando metodicamente una buca nel terreno. Sabbia e terra
sbattevano contro le pareti, colando via dalla superficie quasi priva di
attrito. Il corpo dalle squame verdi, dotato di una cresta a placche, era quasi
del tutto scomparso. Il mostro emetteva dei brontolii che nessuno della vecchia
guardia aveva mai udito prima.
“Una spiegazione non sarebbe
sgradita, a questo punto,” disse Hugh.
Jerome annuì. “È più semplice di quanto pensiate: si sta
preparando a deporre le uova.”
Caduta generale di mascelle!
Lo zoologo si grattò il
mento. “Non vedo altra spiegazione. Non credo che nessuno possa vantare di
essere un esperto su quella specie, ma guardandolo preparare il nido…”
“’Lo’?” Nemo inarcò un
sopracciglio. “Mi scusi, professore, ma di maschietti che si portano le uova
conosco solo gli ippocampi.”
“Senza contare,” aggiunse la
marconista, “che se anche ‘zilla fosse una femmina, chi va ad ingravidarsela?”
“E chi ha detto che è una
femmina?” sorrise Lawson. “È un ermafrodita. E si è autofecondato.” Sospirò. “Che fenomeno affascinante! Solo
una mutazione così unica, se di mutazione si tratta, poteva farci assistere ad
un’auto-clonazione. Chissà se farà solo un uovo grande o ne deporrà a decine
più piccole, come…”
“Assisteremo alla schiusa se prima riusciremo a liberarci,” disse
Nemo. “Qualcuno ha un’idea sui nostri…anfitrioni? Motivazioni? Punti deboli?
Armamenti?”
“Non un indizio,” rispose Howards. “Mai avuto a che fare con gente come questa.”
“Non possiamo andarcene, comunque!” esclamò Lawson.
“Insomma, qui stiamo assistendo al primo evento riproduttivo di Godzilla! Dobbiamo proteggerlo,
se possibile! Lui e tutta la sua prole!”
Hugh sbuffò, ma non si aspettava di meno, in fondo -date
un giocattolo ad una testa d’uovo, ed otterrete il più testardo dei bambini!
Ci pensò Nemo a prendere in
mano la situazione. “Per prima cosa, dobbiamo assicurarci di essere pronti a
sfruttare la sorpresa: con un po’ di fortuna, questi non sanno che il Nautilus è anche
un’astronave. Appena abbasseranno la guardia, useremo il proiettore di Particelle Pym
su Godzilla, e lo porteremo nella nostra gabbia. Lui o lei che sia, e
tutte le sue uova; se questa gente avesse intenzione di usarlo come arma,
avranno una bella sorpresa. Sempre sperando che l’aggeggio messo su dal Dottor Hawkins
non sia difettoso, con la fortuna che circola. Qualcuno me lo chiami, a prop…”
In quel momento, si avvertì
un leggero tremolio. Dalla gabbia di Godzilla venne
un brontolio incuriosito Dalla buca venne fuori il muso lungo, le narici
frementi.
Una porta si aprì
nell’hangar, facendo entrare un cono di luce. Attraverso la soglia, si vedeva
un’altra figura umana, le braccia incrociate dietro la schiena.
Tutta la plancia si strinse
intorno al monitor che mostrava la figura avanzare nell’hangar. Dietro il nuovo
arrivato procedevano altre due figure, che di umano invece avevano ben poco.
“Sono ali o che?” chiese Hugh.
“Una ha un muso, mi sembra…e
quelle sono antenne, giusto?” fece la ragazza.
Il terzetto divenne visibile.
“Un uomo?” fece il russo.
Si trattava veramente di un
essere umano, un caucasico dai capelli biondi, occhi
azzurri, alto e giovane. Indossava un giubbotto verde smeraldo sopra una maglia
nera, e pantaloni bianchi. Il suo volto era coperto in parte da una maschera
scagliosa di metallo forgiata come un drago ad ali spalancate. Nella mano
destra, il giovane reggeva una staffa scarlatta con una serie di aculei
disposti per la sua lunghezza.
Accanto a lui stava una
creatura senza braccia, ma con un paio di enormi membrane alari ripiegate
intorno al corpo. Il suo volto possedeva una specie di corto becco. Dalla testa
partiva una cresta di penne candide che scendevano fino a metà della schiena
dalla pelle nocciola.
La seconda creatura era
un…qualche mammifero antropomorfo, dal muso affilato come quello di un roditore
ma con canini appuntiti a pugnale, sporgenti di sopra e di sotto. Occhi rossi
senza pupille, e una coda nuda. Orecchie triangolari come quelle di un gatto,
ed arti agili ma ben torniti, con i piedi digitigradi; ed era una femmina, se
le apparenze non ingannavano.
Il trio si avvicinò al Nautilus fino ad entrare nel cerchio dei soldati. L’uomo
sollevò lo sguardo. “Il mio nome è Ral Dorn. Signori, per favore, ho bisogno di salire a bordo
del vostro vascello,” disse in un Inglese impeccabile. “Preferirei farlo senza
che siamo costretti ad irrompere, prima.”
Il Russo disse qualcosa di
poco carino nella sua lingua nativa. “Capitano, io dico di insegnare una bella
lezione al nostro arrogante amico.”
Mori annuì. “Un paio di
cannonate ben piazzate, poi ci prendiamo il lucertolone e via. Se siamo
abbastanza svelti…” Come se fosse stato letto nel pensiero, in quel momento il
monitor principale, quello che mostrava Godzilla,
passò a mostrare un’altra immagine.
“Chi è entrato nel sistema?”
chiese Nemo. La marconista controllava freneticamente i suoi strumenti. “Non lo
so! Diamine, sono stati…Oh, no.”
“È uno scherzo, vero?” disse Hugh.
Il monitor mostrava una
mappa…cioè, una serie di mappe: una finestra mostrava la Via Lattea. Un’altra,
la Via Lattea come parte di un gruppo di galassie, a sua volta separato dal
vuoto cosmico da un altro gruppo.
Una finestra mostrava un
componente di quel secondo gruppo, una galassia discoidale come quella di Andromeda, con un vistoso getto di gas dal suo cuore attivo.
Altra finestra: una freccia che indicava una posizione nel settore est del disco,
e poi un ingrandimento su un sistema solare di sei pianeti, con un gigante
gassoso all’estrema periferia.
E loro si trovavano in orbita
intorno al pianeta centrale, il terzo, con le sue due lune.
“Mi viene da vomitare,” disse
la marconista. “Se quella roba è vera…”
“Allora noi non siamo più nel
Kansas,” concluse Hugh.
“Ve lo chiedo di nuovo,”
disse ‘Ral Dorn’,
dall’hangar. “Quanto devo dirvi è della massima importanza per tutti noi, per
il mio mondo e per il vostro. Godzilla è il solo che
ci possa aiutare tutti.”